giovedì 2 gennaio 2014

"VIZI e VIRTU' : Invidia, Accidia ed Ira"

Formidabili strumenti di sviluppo personale, nella giusta misura, vizi e virtù in una chiave di lettura di dizionario "reverso" : scopriremo quanta strada abbiamo ancora da fare.

INVIDIA
Come vizio rappresenta il rifiuto di gioire della felicità altrui, godendo delle sfortune. L'invidioso non sopporta quello che l'altro è o quel che l'altro possiede, poichè questo gli fa vedere la sua mediocrità. E' una degenerazione della giusta competizione, quando l'emulazione diventa timore di non essere come qualcun altro.
Come virtù rappresenta l'ammirazione, il motore dell'esistenza, la forza positiva che porta a misurarci con una persona che stimiamo. Conduce al superamento di sè.

L'ACCIDIA
Come vizio rappresenta la persona che evita il confronto, che non si mette alla prova e non si assume le proprie responsabilità. Vive una passività nella quale si immagina che le cose accadranno da sole o grazie a qualcun altro.
Come virtù rappresenta la quiete contemplativa, il riposo della mente. Mentre nell'accidioso c'è un "non fare" gelido, nella quiete contemplativa c'è un "non fare" ardente, che coglie in pieno il senso dell'esistenza. La pigrizia - in un mondo dove tutto è più veloce - può essere un ritorno alla lentezza, riappropriandosi di sè con un forte scarto rispetto la logica corrente secondo la quale ogni azione debba servire a qualcosa. Riconquistare del tempo per vivere i momenti, anche senza un fine.


L'IRA
Come vizio rappresenta la persona che - in collera - si dimentica dell'altro. Riversa su di lui il suo surplus di emotività senza preoccuparsi della capacità di riceverla. La collera è il contrario dell'affermazione di sè, un'insicurezza quasi infantile. La persona collerica si lascia trapassare dalle sue emozioni senza averle elaborate, agisce d'impulso, perde il controllo e pretende di avere ragione.
Come virtù rappresenta una difesa della propria identità, esprime lo sdegno per un torto subito. Ci possono essere sane collere contro il male, il dolore o un'ingiustizia che ci è stata fatta. La collera chiama a raccolta le nostre energie per darci la forza di difenderci per essere pronti a combattere.

di Silvia Cingolani
Mondo Hr Marche


CLIMA E BENESSERE : l'impatto delle riorganizzazioni

Nel momento in cui i disoccupati italiani superano - ad ottobre 2013 - la soglia del 12,5%, occuparsi di qualità della vita professionale sembra un lusso riservato ai privilegiati che hanno un posto sicuro, ma i promotori si dicono convinti del contrario: bisogna ribellarsi al clima di competizione continua, alla meritocrazia vissuta come sopravvivenza darwiniana del migliore, all'imbarbarimento delle relazioni personali suggerito dal clima generale da «si salvi chi può». 

- Anticipare l'impatto delle riorganizzazioni e delle ristrutturazioni aziendali sul benessere dei dipendenti, valutando anche l'aumento di lavoro che comportano

- Favorire l'equilibrio tra vita privata e professionale attraverso la flessibilità degli orari o il telelavoro

- Evitare le riunioni, le telefonate o l'invio di email ad orari impossibili 

Il fondamento teorico è «La civiltà dell'empatia» (edito in Italia da Mondadori) di Jeremy Rifkin, in cui l'economista americano sostiene che essere gentili e empatici conviene, oltre che essere eticamente giusto !

mercoledì 1 gennaio 2014

I GRANDI UOMINI DEL RINASCIMENTO : Paolo Volponi ed Adriano Olivetti


Breve racconto di Gianfranco Sanchioni

"Stai Tranquillo !!" mi disse Massimo nel suo ufficio che dava sul palazzo ducale (allora era assessore al turismo al comune di Urbino),  conosco bene Bruno e lui ti dirà qualcosa di più su Paolo Volponi. Arrivai da lui dall’ascensore della rampa Martini. 
Il tratto che feci a piedi, sotto i portici dal teatro alla piazza, assomigliava molto a quello fatto da  Guido quando parlava con Ettore a cercare la “ Cancellieri “ ne “LA STRADA PER ROMA”. Le facce degli studenti addormentati dalle lunghe sere passate nei locali a parlare di ragazze e futuro, mi consegnavano le stesse emozioni. Anche Volponi , mi di disse poi Bruno, faceva esattamente la stessa cosa. A parlare di quel sipario ducale che dal rinascimento , non si era mai più aperto. In effetti dopo avere letto “ SIPARIO DUCALE ” ho avuto la nitida sensazione di trovare una fotografia di quei primi anni settanta attraverso i due racconti scritti in parallelo : la vita vacua e leggera del conte ereditario Odino Oddi e quella intellettuale della coppia di professori anarchici Vives e Subissoni durante il periodo della strage di Piazza Fontana. 
Senza dubbio in quel romanzo riuscì a focalizzare con molto anticipo “La strategia della tensione”, che avrebbe poi caratterizzato quel momento storico e i tempi a venire fino a culminare nel fenomeno violento delle “ Brigate Rosse”. Toglie il velo quindi alle quieta e sonnolenta Urbino che celava fermenti di utopia e ribellione. Lo ha fatto però sempre da dietro quel sipario schiuso e con la convinzione che non si sarebbe ancora potuto aprire e per di più  sancendone  quella chiusura statica che dura ancora oggi nei romanzi del mio grande amico  Alessio Torino come “ URBINO, NEBRASKA
La strada per Roma, è stato per me la prima vera scoperta di Volponi. Il  primo dei suoi romanzi da me letto e per altro scritto quando era ancora ragazzo e quando era alle dipendenze del mostro sacro: ADRIANO OLIVETTI
Dopo essermi bevuto altri dei suoi romanzi riuscii a mettere a fuoco l’importanza epocale che hanno caratterizzato il passaggio di quegli anni scortati da una società contadina che girava pagina a favore degli impieghi sicuri nelle produzioni delle fabbriche. Nei cambiamenti repentini (è dir poco) di una generazione in fermento, ancora priva di una identità stabile e che faticava ad assorbire in maniera equilibrata quello che i nordeuropei facevano già da tempo. Inglesi in primis. Le lotte per il tranvai, la seicento, gli elettrodomestici sono tutti elementi sempre presenti nei libri di Volponi e che prendono vita proprio con la sua sanguigna narrazione a conferma di uno squilibrio politico -sociale evidente (Brigate rosse, divorzio, aborto).
E’ appunto ne “LE MOSCHE DEL CAPITALE”, che da voce all’operaio Tecraso oppresso da uno spietato e asettico potere industriale che si contrappone appunto all’altra faccia della fabbrica e della città. È in “ MEMORIALE” che sviscera la vita di Albino Salluggia, operaio piemontese che vive con la madre.
“Scrivo del rumore, perché per la prima volta che uno entra nella fabbrica il rumore è la cosa più importante, e più che guardare uno sta a sentire e sta a sentire senza volontà quel gran rumore che cade addosso come una doccia”. E ancora, “mi stupì il fatto che non ci fossero lavori da fare in gruppi : un gruppo tutt’insieme che si da una mano e tira e spinge di qua o di la o batte martelli o alza una grande macchina. Tutte le macchine erano per un uomo solo e un uomo poteva manovrarle comodamente”. 
Mancava qualcosa nella nuova evoluzione della società di Paolo Volponi che con lucida sintesi riusciva a precorrere quello che decenni dopo sarebbe diventato un collante sociale imprescindibile; Lo sport “Appoggiata sopra una macchina vidi una fotografia di Fausto Coppi. Gli uomini – quei reparti delle officine che attraversavo erano di soli uomini - si muovevano liberamente, non allontanandosi però dal loro posto, e parlavano sempre più tra di loro”. 
Pierpaolo Pasolini con il quale firmo il famoso manifesto e che gli costò l’allontanamento dalla presidenza della “ FONDAZIONE AGNELLI  ”celebrò nel 1962 l’uscita di MEMORIALE con parole inequivocabili: << Io penso che nessuna voce di romanziere, in questi anni , abbia trovato la propria fisionomia con tanta precisione, con tanta purezza, con tanto potere di rivelazione >>.
Ci consegnava quindi con MEMORIALE  un caposaldo della nostra storia sociale. Terribilmente proletario e borghese allo stesso tempo (figlio di ricchi proprietari terrieri e industriali), passa con una narrazione lucida,  dal manager Saraccini con la sua fiammante BMW de “LE MOSCHE DEL CAPITALE” il sogno mancato di democrazia industriale (Lei mi capisce bene, la nostra industria combatte da sola la battaglia … Noi combattiamo questa battaglia di cultura e di libertà … noi pensatori … noi che abbiamo letto Lucrezio e Voltaire, Rousseau, e Ricardo, e Max Weber, Croce, Einaudi, ma anche Orazio e Macchiavelli, Manzoni e Balzac, Proust e Thomas Mann e anche Nenni e Colombo…. La Pira e Il rapporto Pirelli, la battaglia non ci trova quindi impreparati ma proprio per non lasciar perdere e non perdonare niente a nessuno. 
Tutti i suoi fedeli chinarono il capo ad accogliere quella grandezza e a meditarla. Il più bravo commentò mormorando : Roba da New Deal. Roba da grandi riformisti ispirati e pragmatisti … i filosofi anche nell’industria precedono gli scienziati … la fisica non è che un pensiero …. L’elettronica poi ….disse l’ultimo del gruppo. È così che dovrà essere la nostra organizzazione : Pensiero , corrente, commutatore , proseguì il più bravo. Profitto , profitto !! In mezzo a quei discorsi a Sommersi Cocchi sembrava di capire che il vero padrone fosse il banchiere, più che non il suo presidente. Saraccini si voltò e annuì con tutta la testa irrigidita. Succhiò le labbra per quel fervore”)  - Al contadino Duilio di Cerqueto Bono davanti all’ispettorato della Federterra de “ LA STRADA PER ROMA”; parlate in dialetto;  disse il mestro Ettore che a Pesaro aveva accompagnato i contadini : “ en c’e’ l’acqua per le bestie ; en c’e’ piò manca le bestie. Chi lavora la terra ? Chi spacca la maiesa ? Lo c’ha un perticar c’fa un solc d’un palme – e ancora – “In città me stoff  piò che ne a chiapè de pett na costa sal volturecchia” “In città mi stanco molto di più che lavorare duro con l’aratro in salita”. 

La mancata democratizzazione industriale nel primo e una convulsa inquietudine del sofferto distacco dall’abbraccio caldo della provincia, per imboccare la strada delle città del nord e del miracolo economico nel secondo. Quindi le sferzate incisive e violente sul valore della vita perduta dell’imprenditoria manageriale della FIAT e della OLIVETTI di quegli anni. E’ ad Adriano Olivetti che dedica il libro e me lo rimarcò Bruno davanti a quella piada e vino a volontà a S.Arcangelo. “Devo lasciare qualcosa a sor Adriano Olivetti … consegnargli un ideale mancato di democratizzazione dell’industria e l’unico particolare che aveva tralasciato : il rapporto tra l’uomo e l’etica, tra l’occasione e il desiderio, tra democrazia e profitto“. 

Mi raccontò sempre Bruno che Olivetti dava importanza ai sindacati come struttura interna all’azienda ( un po il modello tedesco attuale dei primi anni di questo secolo, che funziona eccome se funziona … ma li eravamo negli anni sessanta). Mi disse anche che aveva chiamato Volponi e altri tre per dare un volto “umanistico” all’impresa che secondo lui doveva per forza passare attraverso la letteratura, per capire, per migliorare, per ritrovare il ricco bagaglio perduto … del rinascimento e non solo. 

Come non ricordare “IL PIANETA IRRITABILE” del 1978 , dove si immerge in una specie di romanzo alla Giulio Verne, una specie di romanzo cavalleresco per incunearsi  nelle rauche profonde di un romanzo Picaresco a far trasparire attraverso quattro grotteschi cavalieri dell’apocalisse un viaggio alla improbabile salvezza dell’universo. Qui nessuna parentela con la fantascienza , nessuna apertura utopistica che però vuole raccontare la distruzione ultima del nostro mondo sociale ed economico. Anche Bruno che era stato raccomandato da Volponi per entrare alla BREDA di Milano (famosa fabbrica di treni e di armi) era stato intaccato dal suo ipnotico potere poetico. Gli avevamo dato appuntamento a Rimini Nord dato che abitava a Gatteo (essendo anche lui Urbinate come noi). Eravamo puntuali come sempre io e Massimo. Alle nove ecco che ti arriva Bruno nel suo abbondante Volvo. Un uomo alto e corpulento alla vista e sicuro di se , pensai subito dopo. Mi sorprese la sua stretta di mano eccessiva, come risulto eccessivo poi il suo modo di proporsi con un ego veramente esagerato. “La S.Giovesa resta ancora adesso un ambiente caldo ma turistico, mentre allora era davvero emozionante. 

Ci sedemmo proprio sotto ai comandamenti di TONINO GUERRA con il quale avevo avuto , sempre il quel periodo, diversi incontri e questo mi rassicurava. Aveva una vecchia borsa in pelle, quelle dei “rappresentanti” di allora. "Allora Franco !! Ti sei innamorato di Paolo !! Non è difficile sai ? Mi disse con voce sicura e con diaframma pieno. Ordinate le piade e il “da mangiare”, prese subito dei libri tronfi di poesie e di scritti. "Non vorrà mica recitare qui daventi a tutti … " pensai. Massimo sogghignò perché lo conosceva bene e poi era anche suo mezzo parente. Ad alta voce e con un raro potere recitativo inziò a fluttuare dentro a quei testi. Ad ogni poesia che finiva, ci estasiava con recensioni occulate e precise. Vicino a noi una coppia … lui mangiava con un gomito appoggiato al tavolo , credo mangiasse trippa o quelle cose li con un cucchiaio che sembrava piu grande di lui , tanto era smilzo e piccolo di statura. Lei ci osservava da dietro il suo trucco spesso senza sguardi eccessivi quasi a far finta che quelle poesie le sentiva tutti i giorni. Più in la arrivarono al mio sguardo due donne con vestiti succinti assieme ad un tipo con tanto pelo dentro a quella camicia sbottonata all’eccesso. Il crocefisso d’oro se ne stava li quasi a incoronarlo come il miglior “ Magnaccia “ della riviera. Bruno andava imperterrito , eccome se andava. Ci parlo poi, tra una lettura e l’altra, di quello che grosso modo ho raccontato sopra, ma con la famigliarità di un fratello e questo ci faceva capire con più facilità tutto quel mondo e le dinamiche imprenditoriali. Il locale si consegnava irrorato da Bruno, da quella voce cosi calda e sicura dava ancor più lustro all’arredo e ai proclami attaccati alle pareti. Ma me am piz quella dla stanga !! quella le la mei ad tott !! (a me piace quella della stanga !! quella è la meglio di tutte ! ) se ne uscì il magnaccia con forte accento romagnolo. Erano dei versi di “Poesie e Poemetti“ di Volponi che facevano cosi: 

Hai le belle gambe aperte,le palpebre svolazzanti,la rondine sul ventre.I denti mobili sulla gengivaScomponi con la lingua.Hai anche la stanga di ferro Per tutto il corpoChe ti fa più morbidaQuando io t’abbraccio. 

Ero contento che la gente aveva partecipato indirettamente a quel piccolo evento. La magìa della poesia. Parlammo fino a tardi soprattutto di uomini che fanno il bene e il male delle imprese perché anche lui, come Volponi e soprattutto come Olivetti, erano convinti che il capitale umano doveva essere studiato e approfondito per rafforzare e far crescere l’impresa appunto. Era uscito anche li, quella sera, l’uomo al centro di tutto l’universo. Prima di uscire passammo davanti ad una fila di donne che con il mattarello avevano spianato la piada per tutta la sera e che adesso rassettavano per la chiusura.  "Par me la piò bella la iè steta quella dl’alba !! Me e mi muros a c’incontremmi sempar a la matina prest par non fec veda; per me la più bella è stata quella dell’alba !! Io e il mio ragazzo ci incontravamo sempre la mattina all’alba per non farci scoprire !! Ci sorprese la donna più grassa. 

All’albaÈ volato L’ultimo tordo.Ormai in questo cieloHanno cantato tutti gli uccelli.Ho fatto l’ultimo giro Per la macchia.Nulla si è mossoAlle mie grida Ai miei colpi sugli alberi.Sono corso da te,a questo vivo fuoco di ginepro.Quanta carne Con queste fustagne,calda.

In macchina, al ritorno, Massimo mi scrutava con un sorriso rassicurante. Dai Franco gim fort ch’è tardi !! Dai tott !! (dai Franco andiamo forte che è tardi !! vai a tutta !!)  ricambiai il suo sguardo con un sorriso altrettanto rassicurante e annuendo con la testa. E' già tott !! (Siamo già a tutta !!) 
Paolo Volponi, Adriano Olivetti , i comunisti libertari, i borghesi, gli anarchici, un po poeti, scrittori, letterati, ironici, grandi uomini del rinascimento e sognatori di mondi possibili.

di Gianfranco Sanchioni




"VIZI e VIRTU : Le Marche, il bel paese con li dolci colli" - di Gianfranco Sanchioni

Gentile Silvia ,
ho avuto il piacere di leggere il tuo articolo sul blog  “Mondo HR Marche”. L’attenzione è andata da subito al tema trattato : Vizi e virtù, invidia, accidia, ira. La sorpresa è stata quella di una piacevole coincidenza.  

Anche se breve , l’articolo racchiude un’analisi asciutta ed una felice intuizione, indirizzata, oltre alla società in genere, soprattutto al mondo imprenditoriale e manageriale. Trovo molto centrata,  interessante e viscerale, l’argomentazione da te trattata, che se approfondita da più voci potrebbe generare nuovi stimoli al cambiamento. Il cambiamento di una società ormai adagiata su un fianco come  per il lento e progressivo vanificarsi di una ricca eredità. Faccio riferimento a quella ricchezza culturale, sociale ed economica che altro non aspetta che una nuova corrente letteraria,artistica, imprenditoriale e manageriale la risollevi dall’attuale torpore. La coincidenza si chiama “ Marchenoir”. È di letteratura che sto parlando. Una antologia di racconti di scrittori emergenti marchigiani e non, racchiusi in un  libro (casa editrice Pequod) che affrontano  appunto il tema dell’invidia come cancro dei marchigiani, quindi accidia e ira , trovando una nitida e consapevole conferma che quelle dolci colline del miracolo socio economico, ci consegnano nei nostri giorni situazioni e vicissitudini a volte drammatiche. A riguardo, cito letteralmente la bella introduzione al libro di Andrea Bacianini e Antonio Maddamma : L’invidia, cancro dei marchigiani.

Aveva visto bene settecent’anni fa il poeta e astrologo Cecco D’Ascoli, nome d’arte di Francesco Stabili. “Le Marche, il bel paese con li dolci colli” sono marce d’invidia. L’invidia “che il mondo no abbandona”, che riempie di male lo sguardo dei marchigiani prima ancora che i suoi corollari, avarizia e follia, ne ottenebrino gli animi. Cecco che non smetteva mai di rimbeccare Dante per le sue astrusità poetiche. Ma su un punto erano d’accordo: l’invidia. Forse anche l’uno per l’altro. L’invidia che , secondo il sommo vate riempiva fino all’orlo l’animo dei suoi fiorentini: “La tua città ch’è piena / d’invidia si che già trabocca il sacco / seco mi tenne in la vita serena” sono le prime parole rivolte a Dante da Ciacco, primo dei concittadini incontrati nell’inferno (VI 49-51). Superbia e avarizia, le altre due “ faville ch’hanno i cuori accesi”, erano solamente, ancora , dei corollari ( VI, 75 ).

Ducent’anni fa è il poeta marchigiano per eccellenza Giacomo Leopardi, a rilanciare sull’invidia nella sua terra natale: “ una gente / zotica, vil ( … ) che m’odia e fugge, / per invidia no già, che non mi tiene / maggior di se , ma perché tale estima /  ch’io mi tenga in cor mio , sebben di fuori / a persona giammai non ne fo segno” (Le ricordanze , vv. 30-37). Quasi con malcelata superbia volesse negare ai suoi concittadini quell’invidia di cui ben conosceva la malignità. Ed è proprio in questo che , ci siamo accorti, emerge ancora oggi dai racconti degli scrittori della Carboneria Letteraria ( che ringraziamo soprattutto nella persona di Giuseppe D’Emilio, che ci ha accompagnato col suo calore in questa avventura) e dei suoi numerosi Friends, non tutti marchigiani. 

Non l’avarizia, che si aspetterebbe secondo il noto adagio romano che fotografava il dettaglio sgradito dell’epoca dello stato pontificio, cioè che gli esattori delle tasse erano stati reclutati oltre appennino (“ Meglio un morto in casa che un marchigiano alla porta”). Non la superbia che poco ha avuto storicamente a che vedere con l’appartatezza che ha caratterizzato i percorsi politici ed economici della regione. Non la follia, che pure si accompagna spesso al genio ( e di geni non ne sono certo mancati ). No, è proprio l’invidia ad animare questi racconti noir ambientati nelle marche: è questo sguardo bieco, torvo, sinistro, gettato dalle e sulle molte facce dei suoi abitanti, dalle e sulle molte facce di un territorio la cui pluralità è sottolineata perfino nel nome , come ci ricorda un recente slogan.
Nelle città più grandi, dove i benpensanti non vogliono vedere, ma sanno molto bene cosa succede quando lo specchio della virtù si incrina e il vizio perdona; nelle campagne dell’idilio ferito, dove riaffiorano le oscure radici di un male a lungo celato; lungo la riviera adriatica, che odora di alcol, sangue e povere da sparo, sulla quale allunga le mani la cupa ombra della criminalità organizzata; nelle pieghe del suo passato ricco di misteri, che si sfoglia come un libro di anime in pena; nei suoi anfratti segreti, dove le menti possono avvolgersi, su di loro stesse e correre il rischio di inabissarsi ; nelle calde ovatte della remota provincia, dove si annidano i germi fecondi della follia. 

Dall’ascolano al pesarese, dalle montagne alle coste, nessuna zona è rimasta indenne dallo scontro con la complessità del reale, cui il noir guarda quasi sempre in modo disperato.

Ancora quarant’anni fa era stato il genio lucido di un altro grande scrittore marchigiano, Paolo Volponi, a denunciare duramente nel suo “ Corporale” l’invidia come “ unico elemento (…) unitario della unità italiana , antropologica e sotto. Uno schifoso popolo di invidiosi. L’invidia istituita , organizzata in enti, casse, fondazioni e categorie come unico bene sociale” (1974, pp. 49-50).

Forse la miglior risposta a quell’inane profezia dell’ Alighieri, che vedeva nell’opera di un liberatore la salvezza dell’Italia, che vedeva nell’opera di un liberatore la salvezza dell’ Italia: costui avrebbe ricacciato all’inferno quella lupa famelica, figlia di lucifero, proprio l’angelo bello e impotente che Dante definì “ invidia prima”. L’Italia, settecento anni dopo, non ne è, né forse mai, ne sarà salva. L’invidia, cancro degli Italiani.-

Trovo questa introduzione al libro una proposta naturale e altresì interessante atta a concentrare sinergicamente spinte propulsive al fine di raggiungere il risultato da voi prefissato: Lo studio per il rinnovamento, per la crescita, per la conoscenza.


di Gianfranco Sanchioni