martedì 2 ottobre 2012

LA COMPETIZIONE: "quando vincere è l'unica cosa che conta"



di Eleonora Reverberi 

Le Olimpiadi, terminate da un mesetto ma ancora fresche nelle nostre menti, sono un contesto sportivo in cui la pressione agonistica dovuta alla necessità di gareggiare con campioni dei massimi livelli si fa sentire con intensità particolare su ogni atleta, sia quello che vive la sua prima Olimpiade, sia il “veterano”. Lo si legge in ogni intervista che gli atleti, italiani e non, hanno rilasciato prima di partire per la City e lo si riscontra anche guardando le gare: chi meglio sopporta questa pressione ha risultati migliori. Ma, ci potremmo chiedere, cos’è la competizione in sé? E l’istinto competitivo si può sviluppare? Vediamo insieme di fare chiarezza su questo tema.

Innanzitutto, la COMPETIZIONE è un fenomeno presente in ogni contesto sociale: è definita come la pressione a raggiungere un certo obiettivo/risultato, che un individuo sviluppa verso altri individui, che ritiene al suo stesso livello di preparazione fisica, tecnica, cognitiva o conoscitiva. La competizione è un tratto fondamentale dell’uomo, pensiamo ad esempio alla teoria sull’origine dell’uomo di Darwin. Alcuni penseranno che è datata, invece è di estrema attualità e ci consente di comprendere che senza competizione, senza volontà di sopravvivere, di sfuggire ai pericoli che la natura e i predatori costituivano per l’uomo, senza la tendenza a adattarsi ai cambiamenti l’uomo stesso non sarebbe potuto sopravvivere. La nostra esistenza oggi è ben diversa, l’uomo ha eliminato i pericoli che potrebbero causare la sua scomparsa dalla Terra e contemporaneamente ha creato nuovi scenari competitivi: lo sport in primis, ma anche il mondo del lavoro.

La COMPETITIVITA', invece, è la disposizione individuale a impegnarsi a fare del proprio meglio per prevalere sugli altri; in poche parole, lo sforzo che l’atleta fa per vincere ma che non necessariamente si sviluppa in ogni atleta. Ci sono atleti che la sviluppano di più di altri. Ciascun atleta dunque ha un proprio livello di competitività, che solitamente è molto più elevato negli sportivi professionisti rispetto che nelle persone “comuni” e agli atleti amatori, poiché possiamo dire che lo sport professionistico è uno dei mondi in cui “per essere qualcuno devi vincere”; di conseguenza lo sportivo deve anche essere allenato a essere competitivo, a voler prevalere rispetto agli altri. Un altro mondo caratterizzato di fortissima competitività è quello del management: il manager migliore è colui che sa sopportare la pressione e lo stress, governare le emozioni, soprattutto quelle negative come l’ansia, la rabbia, la tensione e nello stesso tempo sa gestire la comunicazione delle sue decisioni agli altri, anche quando queste non sono piacevoli.

Posto che per gli atleti è fondamentale essere competitivi è bene ricordare che altre due dimensioni specifiche della loro personalità sono: l’orientamento al compito e l’orientamento alla vittoria. 
Il primo indica la volontà di migliorarsi e di migliorare le proprie prestazioni, indipendentemente dalla vittoria; il secondo invece indica la volontà assoluta di primeggiare sugli altri. 

Ovviamente questi aspetti possono essere presenti in misura differente nei diversi atleti e potremmo dire che una commistione di “competitività/ impegno a dare il massimo”, “orientamento al compito/ miglioramento delle proprie prestazioni” e “orientamento alla vittoria” da origine alla prestazione perfetta, non irraggiungibile ma sicuramente privilegio di pochi campioni. Questi di sicuro sanno gestire la pressione agonistica in sfide in cui sanno bene che l’avversario è esattamente al loro livello di capacità, ma la differenza tra i due viene fatta dalla mente, dalla capacità di gestire la pressione, le proprie emozioni, di pensare attimo dopo attimo, anziché pensare solo all’obiettivo finale della vittoria.

Eleonora Reverberi