Gentile Silvia ,
ho avuto il piacere di leggere il tuo articolo sul
blog “Mondo HR Marche”. L’attenzione è
andata da subito al tema trattato : Vizi e virtù, invidia, accidia, ira. La
sorpresa è stata quella di una piacevole coincidenza.
Anche se breve , l’articolo racchiude un’analisi
asciutta ed una felice intuizione, indirizzata, oltre alla società in genere,
soprattutto al mondo imprenditoriale e manageriale. Trovo molto centrata, interessante e viscerale, l’argomentazione da
te trattata, che se approfondita da più voci potrebbe generare nuovi stimoli al
cambiamento. Il cambiamento di una società ormai adagiata su un fianco come per il lento e progressivo vanificarsi di una ricca
eredità. Faccio riferimento a quella ricchezza culturale, sociale ed economica
che altro non aspetta che una nuova corrente letteraria,artistica,
imprenditoriale e manageriale la risollevi dall’attuale torpore. La coincidenza
si chiama “ Marchenoir”. È di letteratura che sto parlando. Una antologia di
racconti di scrittori emergenti marchigiani e non, racchiusi in un libro (casa editrice Pequod) che affrontano
appunto il tema dell’invidia come cancro
dei marchigiani, quindi accidia e ira , trovando una nitida e consapevole
conferma che quelle dolci colline del miracolo socio economico, ci consegnano nei
nostri giorni situazioni e vicissitudini a volte drammatiche. A riguardo, cito
letteralmente la bella introduzione al libro di Andrea Bacianini e Antonio
Maddamma : L’invidia, cancro dei marchigiani.
Aveva visto bene settecent’anni fa il poeta e
astrologo Cecco D’Ascoli, nome d’arte di Francesco Stabili. “Le Marche, il bel
paese con li dolci colli” sono marce d’invidia. L’invidia “che il mondo no
abbandona”, che riempie di male lo sguardo dei marchigiani prima ancora che i
suoi corollari, avarizia e follia, ne ottenebrino gli animi. Cecco che non
smetteva mai di rimbeccare Dante per le sue astrusità poetiche. Ma su un punto
erano d’accordo: l’invidia. Forse anche l’uno per l’altro. L’invidia che ,
secondo il sommo vate riempiva fino all’orlo l’animo dei suoi fiorentini: “La
tua città ch’è piena / d’invidia si che già trabocca il sacco / seco mi tenne
in la vita serena” sono le prime parole rivolte a Dante da Ciacco, primo dei
concittadini incontrati nell’inferno (VI 49-51). Superbia e avarizia, le
altre due “ faville ch’hanno i cuori accesi”, erano solamente, ancora , dei
corollari ( VI, 75 ).
Ducent’anni fa è il poeta marchigiano per eccellenza
Giacomo Leopardi, a rilanciare sull’invidia nella sua terra natale: “ una gente
/ zotica, vil ( … ) che m’odia e fugge, / per invidia no già, che non mi tiene
/ maggior di se , ma perché tale estima /
ch’io mi tenga in cor mio , sebben di fuori / a persona giammai non ne
fo segno” (Le ricordanze , vv. 30-37). Quasi con malcelata superbia volesse
negare ai suoi concittadini quell’invidia di cui ben conosceva la malignità. Ed
è proprio in questo che , ci siamo accorti, emerge ancora oggi dai racconti
degli scrittori della Carboneria Letteraria ( che ringraziamo soprattutto nella
persona di Giuseppe D’Emilio, che ci ha accompagnato col suo calore in questa
avventura) e dei suoi numerosi Friends, non tutti marchigiani.
Non l’avarizia,
che si aspetterebbe secondo il noto adagio romano che fotografava il dettaglio
sgradito dell’epoca dello stato pontificio, cioè che gli esattori delle tasse
erano stati reclutati oltre appennino (“ Meglio un morto in casa che un
marchigiano alla porta”). Non la superbia che poco ha avuto storicamente a che
vedere con l’appartatezza che ha caratterizzato i percorsi politici ed
economici della regione. Non la follia, che pure si accompagna spesso al genio
( e di geni non ne sono certo mancati ). No, è proprio l’invidia ad animare
questi racconti noir ambientati nelle marche: è questo sguardo bieco, torvo,
sinistro, gettato dalle e sulle molte facce dei suoi abitanti, dalle e sulle
molte facce di un territorio la cui pluralità è sottolineata perfino nel nome ,
come ci ricorda un recente slogan.
Nelle città più grandi, dove i benpensanti non
vogliono vedere, ma sanno molto bene cosa succede quando lo specchio della
virtù si incrina e il vizio perdona; nelle campagne dell’idilio ferito, dove
riaffiorano le oscure radici di un male a lungo celato; lungo la riviera
adriatica, che odora di alcol, sangue e povere da sparo, sulla quale allunga le
mani la cupa ombra della criminalità organizzata; nelle pieghe del suo passato
ricco di misteri, che si sfoglia come un libro di anime in pena; nei suoi
anfratti segreti, dove le menti possono avvolgersi, su di loro stesse e correre
il rischio di inabissarsi ; nelle calde ovatte della remota provincia, dove si
annidano i germi fecondi della follia.
Dall’ascolano al pesarese, dalle
montagne alle coste, nessuna zona è rimasta indenne dallo scontro con la
complessità del reale, cui il noir guarda quasi sempre in modo disperato.
Ancora quarant’anni fa era stato il genio lucido di
un altro grande scrittore marchigiano, Paolo Volponi, a denunciare duramente
nel suo “ Corporale” l’invidia come “ unico elemento (…) unitario della unità
italiana , antropologica e sotto. Uno schifoso popolo di invidiosi. L’invidia
istituita , organizzata in enti, casse, fondazioni e categorie come unico bene
sociale” (1974, pp. 49-50).
Forse la miglior risposta a quell’inane profezia
dell’ Alighieri, che vedeva nell’opera di un liberatore la salvezza dell’Italia,
che vedeva nell’opera di un liberatore la salvezza dell’ Italia: costui avrebbe
ricacciato all’inferno quella lupa famelica, figlia di lucifero, proprio
l’angelo bello e impotente che Dante definì “ invidia prima”. L’Italia,
settecento anni dopo, non ne è, né forse mai, ne sarà salva. L’invidia, cancro
degli Italiani.-
Trovo questa
introduzione al libro una proposta naturale e altresì interessante atta a
concentrare sinergicamente spinte propulsive al fine di raggiungere il
risultato da voi prefissato: Lo studio per il rinnovamento, per la crescita,
per la conoscenza.
di Gianfranco Sanchioni
Nessun commento:
Posta un commento
Lascia il tuo commento sul Post: