sabato 26 luglio 2014

"LE PAROLE CHE SCHIACCIANO (per primo a chi le pronuncia)" - di Silvia Bonino

Da molte parti viene deprecata la violenza verbale che ha progressivamente invaso la nostra vita quotidiana ed i rapporti tra le persone. La sua diffusione è evidente nella vita pubblica e sui social network, dove la ricerca dell'iperbole è diventata la norma, nel tentativo di trovare visibilità in mondi in cui le parole dette e scritte sono talmente tante da costituire un rumore di fondo nel quale è sempre più difficile farsi sentire. Ma l'abitudine a ricorrere ad espressioni brutali è passata anche nella vita lavoraitva e familiare, e molti lamentano il logoramento quotidiano che proviene da modalità aggressive di comunicare.
In genere di quest'abitudine si stigmatizzano gli effetti negativi sulla vita di relazione: che l'autore ne abbia piena consapevolezza o no la violenza, per quanto verbale, ha come effetto il danno di un'altra persona, che sovente reagisce a sua volta in modo aggressivo, in un crescendo sempre più difficile da controllare. La preoccupazione che dalle parole si passi ai fatti è fondata, e riguarda non solo bambini ed adolescenti, cioè soggetti ancora in età evolutiva ma anche molti adulti con insufficiente capacità di autocontrollo. Questo passaggio è favorito dalla maggiore accettazione degli atteggiamenti aggressivi, prima conseguenza della diffusione dell'aggressività verbale.

Ma le conseguenze negative su chi è bersaglio della violenza verbale non sono l'unico aspetto da considerare. Ce n'è un altro, perlopiù ignorato. Nel porre l'attenzione sul destinatario delle parole violente, si dimentica l'effetto negativo che queste esternazioni hanno per la persona stessa che le esprime. Bisogna quindi riflettere anche sugli effetti che le aggressioni verbali hanno non solo sugli altri, ma anzitutto sulla persona che si esprime abitualmente in questo modo. Non c'è dubbio che gli effetti siano negativi sia a livello emotivo che cognitivo e questo per una ragione molto precisa, anche se sovente dimenticata : le reazioni aggressive rappresentano modalità primitive di fare fronte alle frustrazioni, alle difficoltà ed ai problemi. Non a caso, condividiamo queste possibilità con molti atri animali e soprattutto con i mammiferi a noi più vicini. I circuiti emotivi dell'irritazione e della collera sono sedimentati nel cervello limbico che alberga nel nostro sistema nervoso centrale, e che rappresenta a livello di sviluppo filogenetico, il cervello dei primi mammiferi. Per questo ragioni l'aggressione è in genere incapace di risolvere i problemi relazionali che gli esseri umani si trovano a dover affrontare. Il fatto che l'aggressione negli esseri umani possa essere verbale, e non unicamente fisica come negli animali, rappresenta di certo un progresso, ma non migliora il valore adattivo di una risposta che resta molto primitiva. Se un attacco aggressivo sembra risolvere sul momento un conflitto, la complessità della vita sociale umana richiede ben altre competenze. Si tratta di abilità di cui gli esseri umani sono capaci, grazie sia alla disposizione naturale che all'educazione. Ne sono esempi la cooperazione, che chiama in causa modalità cognitivamente più evolute di analisi dei problemi e di ricerca delle soluzioni, ma anche l'empatia e la compassione.

A livello emotivo, l'attacco verbale ha la conseguenza negativa di strutturare progressivamente una modalità aggressiva di affrontare le situazioni, rafforzando l'emozione di rabbia e le risposte fisiologiche collegate. In concreto, ciò significa che dopo un attacco verbale l'emozione di chi così si è espresso è diventata più stabilmente negativa ed oppositiva. Infatti esprimersi in modo aggressivo non è affatto un salutare sfogo e non prelude di per se a comportamenti più utili, ma al contrario ne impedisce la comparsa. Anche sul piano cognitivo le manifestazioni aggressive hanno conseguenze negative, perché vengono a costruire progressivamente delle interpretazioni di tipo ostile e violento. Si creano così spiegazioni che sono funzionali al proprio stato emotivo, con interpretazioni che diventano sempre più rigide a mano a mano che l'aggressione verbale viene ripetuta. Ne risultano narrazioni che sono progressivamente sempre più impermeabili a qualunque altra interpretazione o modifica. Le parole aggressive finiscono così per strutturare in modo sempre più stabile pensieri e sentimenti, che a loro volta indirizzano i comportamenti in un'unica direzione.
Di conseguenza, anche se le parole violente sono pietre lanciate contro un avversario da colpire, di fatto esse ricadono anche contro chi le proferisce. Il risultato della violenza verbale è quindi paradossale: non serve a risolvere la complessità dei problemi e dei conflitti posti dalla vista sociale, che anzi generalmente aggrava, mentre fa stare peggio emotivamente chi le pronuncia e ne limita l'apertura cognitiva a soluzioni più inventive.

Di fronte a questa amara constatazione, l'aggressione verbale dovrebbe perdere ai nostri occhi la sua attrattiva: è bene allora riconsiderare le nostre abitudini e provare a lasciare spazio ad altre emozioni e pensieri. In famiglia, così come sul lavoro e nella quotidiana vita sociale, fermare la diffusa abitudine all'aggressione verbale, che spesso scatta come un automatismo, non è segno di debolezza o buonismo, ma di intelligente e creativa capacità di trovare le soluzioni migliori e di proteggere se stessi, prima ancora degli altri, dalle conseguenze negative della violenza.

Di Silvia Bonino
Dipartimento di Psicologia
Università di Torino

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